Mentre scrivo, la crisi di governo sembra ormai alle spalle.
Nella giornata di martedì si è svolta, sulla piattaforma telematica Rousseau targata MoVimento 5 Stelle, una storica votazione per decidere se dare il via libera o meno alla formazione del nuovo governo presieduto da Giuseppe Conte in accordo col Pd. Ha stravinto il sì, con il 79,3% delle preferenze, e già nella mattina di ieri ha giurato il nuovo esecutivo. Dopo lunghe trattative per la costruzione della squadra di governo, c’è stata l’intesa sui nomi per i ministeri chiave: Lamorgese al ministero dell’Interno, Di Maio agli Esteri, Bonafede alla Giustizia, Gualtieri all’Economia e Speranza alla Salute. Torna Franceschini alla Cultura.
La votazione telematica ha raccolto la partecipazione di ben 79.634 iscritti, “l'attuale record mondiale di partecipazione on line per una votazione politica” esulta Davide Casaleggio. Scettico riguardo alle modalità e ai risultati il giornalista Marco Canestrari, che obietta: “Non è un vero record mondiale, Podemos in Spagna lo ha fatto prima dei 5 Stelle. Perdonatemi ma mi rifiuto di commentare i risultati di un sistema che sostanzialmente è blindato e che il Garante della privacy ha certificato come insicuro”.
Di questa lunga crisi di governo, che ha tenuto l’Italia col fiato sospeso per l’intero mese di agosto, non tutti i punti sono stati chiariti. Sulle reali motivazioni che hanno spinto il Ministro degli Interni Matteo Salvini ad accendere la miccia della crisi ancora serpeggia qualche dubbio; stesso mistero avvolge le sorti del nuovo esecutivo, che dovrà ora misurarsi con le sfide dei lavori lasciati in sospeso dalla vecchia alleanza e con gli impegni assunti col nuovo programma.
Quello che invece è stato chiarito, o forse meglio delineato, è il profilo di personaggi chiave che possono essere considerati i reali protagonisti della crisi, e l’impatto che il loro approccio a questa impasse politica ha avuto sulla fiducia degli italiani.
Non si può parlare di crisi di governo senza nominare Matteo Salvini, il Ministro degli Interni che la crisi l’ha innescata. L’8 agosto, a seguito di una spaccatura del governo gialloverde sull’argomento Tav, il leader leghista ha ufficializzato la volontà di porre fine all’alleanza durata 14 mesi con il MoVimento 5 Stelle. Il giorno dopo Salvini ha presentato una mozione di sfiducia e ha chiesto di andare alle elezioni, forte dei sondaggi che lo vedevano in cima alle preferenze politiche degli italiani.
Nel lungo periodo di crisi successivo a quella che è stata, a torto o ragione, definita una mossa azzardata (Mario Giordano per Panorama), il leader della Lega ha perso un’importante fetta del consenso degli italiani, crollando dal 51% al 36% (Ipsos per Corriere della Sera). A penalizzarlo sono stati sicuramente i repentini cambi di strategia adottati prima delle dimissioni del presidente Conte e il confronto che con questi ha avuto in Parlamento il 20 agosto.
Dopo le dichiarazioni al veleno all’indirizzo del leader leghista, rilasciate l’8 agosto all’alba della crisi “Questo Governo ha sempre parlato poco e lavorato molto; questo Governo non era in spiaggia”, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte si è reso protagonista assoluto della crisi nel giorno delle sue dimissioni. Il 20 agosto, quando è salito a Palazzo Madama per spiegare le ragioni del suo abbandono, non ha tralasciato alcun aspetto nella sua lucida e a tratti spietata analisi di una crisi che riteneva evitabile. Con toni mai sopra le righe e l’eloquio forbito che lo ha sempre contraddistinto, ha spiegato quali, secondo lui, siano state le scorrettezze del Ministro dell’Interno. Ha però chiuso il suo discorso con toni di speranza, guardando già al lavoro da fare per rimettere in piedi un’Italia con molte potenzialità.
L’indice di gradimento per il giurista foggiano al termine della crisi può considerarsi quasi intatto, avendo perso soli 4 punti percentuali nonostante le prevedibili diserzioni dell’elettorato leghista. Resta infatti al 52%, cifre da non disdegnare di questi tempi.
Preso tra due fuochi, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è prevedibilmente trovato a dover fare da arbitro tra due fazioni in questo periodo di crisi. Se la Lega premeva per le elezioni anticipate, dall’altra parte si chiedeva tempo per formare un nuovo esecutivo giallorosso e dare una forma di continuità al governo già insediato. Dopo lunghe ed estenuanti giornate di consultazioni, ha infine deciso di dare il via al Conte bis, che ancora mercoledì ha potuto ufficializzare la sua partenza. La lucidità e il sangue freddo dimostrati nel corso della crisi gli sono valsi un indice di gradimento superiore a quello di qualsiasi altro leader al momento: si fida di lui il 57% degli italiani.
Nel corso di una crisi fatta di dichiarazioni, consultazioni, ritrattazioni e alleanze precarie, il leader del MoVimento 5 Stelle non ha brillato particolarmente, rimanendo sempre un passo indietro rispetto al teatro della lotta. I due punti percentuali nell’indice di gradimento persi nel corso della crisi (è passato dal 30% al 28%) sono forse dovuti al suo essere poco propositivo. Le dichiarazioni più autoritarie che ha fatto sono state infatti di sbarramento anziché di proposta. Alla vigilia dell’intervento di Conte al Senato ha negato qualsiasi possibilità di formare un’alleanza giallorossa: “Nessuna alleanza con nessuno. Ci affidiamo a Mattarella”. Simile carattere di ultimatum ha avuto la seconda dichiarazione, al termine delle consultazioni: “Sì ai nostri punti programmatici o voto”. Dichiarazione, questa, che ha indispettito il segretario Pd Nicola Zingaretti, più concentrato sulla svolta da dare al governo. In conclusione, il leader pentastellato non è uscito rafforzato da questa crisi, ma avrà tempo nel corso del nuovo governo per far valere le sue ragioni.
La crisi può considerarsi conclusa, con esiti anche abbastanza positivi viste le premesse e le tempistiche con cui si è trascinata. Ciononostante, la classe politica ne viene fuori un po’ stropicciata. Cala infatti la fiducia generale nei confronti di tutti i partiti. Oltre il 40% degli intervistati dall’Istituto di Pagnoncelli ha preferito addirittura non esprimersi al riguardo, mentre solo il 20% ha fiducia nella Lega, il 15% nel Pd e il 14% nel M5S.
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