Il settore del fitness in Italia: com'è cambiato nell’ultimo anno?

Sembrava che questa seconda ondata di contagi avrebbe risparmiato palestre e piscine, invece ancora una volta gli impianti sportivi ad uso non agonistico hanno dovuto chiudere i battenti. La speranza di rimanere aperti era rimasta presente, seppur flebile, nella settimana durante la quale il governo aveva temporeggiato prima di annunciare le nuove misure restrittive. Adeguarsi alle norme di sicurezza per il contenimento dei contagi: era questo il compromesso. Ma una settimana evidentemente non è bastata, sebbene la stragrande maggioranza delle strutture fosse risultata a norma ai controlli delle ASL e il rischio di contagio bassissimo (1x1000).

Gli effetti della prima ondata

Durante il primo lockdown l’IFO (International Fitness Observatory) aveva diffuso previsioni foschissime: con una chiusura prolungata, il 77% delle strutture in Italia avrebbe chiuso, mettendo a rischio oltre duecentomila posti di lavoro.

La ricerca dell’IFO aveva evidenziato infatti che “il panorama delle palestre in Italia è composto per la maggioranza (59%) da piccoli club indipendenti, solo il 12% appartiene a catene e quasi il 3% in franchising. Il restante 28% è formato da piccoli studi di yoga, pilates, ecc.” Lapalestra.it si è chiesta, alla luce di questi dati, quanto potessero resistere i Club in una situazione di lockdown.

“Se la situazione è difficile per tutti, la capacità economica di poter resistere è differente: il 22% dichiarava di avere autonomia per 1 mese. In 2 mesi il 61% riteneva di non avere le forze economiche per superare la crisi. Il 77,3% dei Club pensava di non farcela in 3 mesi. Al quarto mese di stop (maggio/giugno), il rischio è quello che oltre l’82% dei Club non sopravviva. Infine, solo il 3,4% dei club avrebbe potuto avere le risorse economiche per resistere a cinque mesi di chiusura.”

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L’impatto delle nuove chiusure

Al momento delle chiusure di ottobre si stimava che il 30-35% degli iscritti a palestre e piscine non fosse rientrato dopo le chiusure di marzo. Lo evidenziava Giampaolo Duregon, presidente Anif, l’associazione italiana per lo sport e il fitness, guardando però con positività al dato complementare: “Nell’ultima settimana di maggio (la prima di riaperture) nei centri sportivi c’è stato un 50 per cento della frequenza in rapporto allo stesso periodo dell’ultima settimana di maggio 2019. Il dato è incoraggiante: visto quel che è successo, ci si aspettava di meno. Speriamo di risalire nel gennaio 2021 ai risultati di gennaio 2019. Se non sarà così, punteremo sulla primavera successiva.”

Sembra però che la risalita sia ancora lontana. Si riparte da zero, con nuove chiusure di cui al momento non si conosce un limite temporale. In soccorso del settore è arrivato il ministro dello Sport Vincenzo Spadafora, che ha comunicato: “già dal 15 novembre 2020 si prevedono i primi rimborsi per i trainer con un aumento di 200 euro: da 600 a 800 come indennità, 50 milioni di fondo perduto per ASD, SSD da subito a fondo perduto automatico per SPD con codici Ateco che ne avevano già usufruito. Con l’augurio che il mondo dello sport possa riprendere al più presto. Nonostante gli aiuti un altro mese o più mesi produrranno un danno, che va ad aggiungersi alla perdita avuta.”


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